lunedì 8 marzo 2010
08:06 | Pubblicato da
Ente del Turismo della Giordania JORDAN TOURISM BOARD |
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Ancora esperienze urbanistiche interessanti in Medio Oriente, lontane diversi anni luce dal cosiddetto modello Dubai. Che forse – e per fortuna - non è neppure un modello. The New York Times, 24 febbraio 2010
(da mall.lampnet.com)
Titolo originale: Sidewalks, and an Identity, Sprout in Jordan’s Capital – Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini
AMMAN, Giordania — Magari è un po’ esagerato definirlo un miracolo, ma l’amministrazione di questa antica città distesa su sette colli bruciati dal sole è riuscita in qualcosa che sinora pareva proprio impossibile. Ha costruito dei marciapiedi su cui è facile camminare.
Ma non è tutto, a Ammansi è riusciti anche fare qualcosa d’altro! Ci sono le panchine. Non solo nei parchi, ma proprio lì, su quei nuovi, levigati marciapiedi, che non si interrompono bruscamente e senza motivo. Marciapiedi e panchine, sono cose facili da liquidare come comodità aggiunte, orpelli urbani non indispensabili. Cosa che sarebbe particolarmente vera qui, se si considera quante altre cose sono necessarie: più lavoro, più scuole, più sanità.
Ma basta parlare con chi ha pensato questi marciapiedi, queste panchine, per iniziare a guardare gli ubiqui oggetti come potenti mezzi di intervento sociale, in grado di abbattere il muro che si erge fra ricchi e poveri, di contribuire allo sviluppo di una identità spaziale, locale, di un senso di appartenenza.
“Credo che abbiano reso la gente un po’ più felice” commenta Omar al-Deeb, 68 anni, cresciuto nella zona povera di Amman Est.
Deeb vende scarpe e sandali in un quartiere dove si affollano case, negozi, moschee e chiese, tutti aggrappati ai fianchi della collina, collegati da vie strette e sinuose. La sua bottega è una sedia di plastica all’angolo fra le vie Al Taj e Bader, proprio vicino a una delle ultime novità urbanistiche, un percorso pedonale con panchine e alberi. Una strada che un tempo era intasata di macchine, è diventata un posto in cui le famiglie di questa zona, che un tempo si sentivano dimenticate dall’amministrazione, possono sedersi da qualche parte.
“Piace a tutti” commenta Ahmed Sosa, 38 anni, proprietario di una bottega di frutta secca poco distante dalla nuova piazza inaugurata da pochi giorni.
Non si tratta di progetti estemporanei, una panchina qui e una là, ma di un grande piano per tutta Amman, con l’obiettivo di mettere un po’ d’ordine in una città le cui radici risalgono all’8500 a.C. e che nelle forme attuali ospita 2,5 milioni di abitanti, 3 milioni d’estate. Il piano generale di Amman ha anche uno slogan: “La città abitabile è organizzata, è ha un’anima”. Un modo sottile di descrivere cosa Amman non vuole diventare, e cioè Dubai.
“Rischiamo la dubaificazione” commenta Gerry Post, canadese presidente e fondatore dell’Amman Institute for Urban Development, gruppo di architetti, urbanisti, ricercatori in maggioranza giordani, costituito dal sindaco Omar Maaniper restaurare, anziché reinventare, Amman.
Quando Maani è entrato in carica quattro anni fa, c’erano progetti per costruire sedici torri di acciaio e vetro lungo l’arteria principale di Amman, che avrebbero impedito del tutto la vista delle casette bianche distese sulle colline. La più alta doveva essere di 80 piani. Così, non solo si sarebbero messe a dura prova tutte le infrastrutture, ma cosa che preoccupava di più gli urbanisti, si sarebbero costruite isole di privilegio per i molto ricchi.
Le trasformazioni sono così state redistribuite verso tre aree a bassa quota attorno alla città, tutelando sia lo skyline, che l’identità urbana, che i tanto sospirati investimenti.
“Non voglio che esistano due città in una” spiega Rami F. Daher, architetto e stratega di alcuni fra i progetti di trasformazione urbana più raffinati e ambiziosi.
Secondo Daher, le panchine contano, e i marciapiedi.
“Le cose più importanti sono l’articolazione sociale e la giustizia” commenta, parlando più da impegnato politico che da urbanista.
Il sistema politico della Giordania rende difficile cambiare le cose. Come in molti altri casi nel mondo arabo, sotto una sottile patina di democrazia esiste un potere molto accentrato, in questo caso la monarchia. L’urbanista vede una possibilità di conferire più potere ai cittadini nella trasformazione dello spazio che sta loro attorno, chiedendo per prima cosa come vogliono vivere. Si fanno delle indagini, e Post ha disposizione personale qualificato per organizzare assemblee.
“Quello che manca in città è il senso di cittadinanza” spiega Post. “Dobbiamo crearlo, insieme alla buona amministrazione”.
La Giordania da sempre cresce per flussi di immigrazione: circassi, armeni, libanesi, palestinesi. E poi i giordani dai piccoli villaggi che si spostano verso Amman, contribuendo a farne un centro economico, politico e culturale. Ma anche dopo tante generazioni, spiegano che è raro sentire qualcuno che si ritiene di Amman. Quindi è un obiettivo difficile, quello di costruire un’identità urbana cambiando un’abitudine così radicata.
Ma su questo fronte ci sono già state alcune piccole vittorie.
“Per una ragazza è considerato poco adeguato passeggiare senza meta per strada o sta seduta sul marciapiede” spiega Reem al-Hambali, 20 vent’anni, seduta al brillante sole d’inverno sulla prima piazza realizzata. “Tutti ti guardano e chiedono: cosa ci fa una ragazza lì? Invece stare qui è tutto O.K. Ci stiamo ed è normale”.
L’esperienza di via Wakalat dimostra però anche alcuni passi falsi della trasformazione. Quella strada era il regno esclusivo dello shopping ricco di chi abita nella zona ovest di Amman, e i negozianti non avevano alcun interesse a spazi più egualitari. Quello che interessava erano solo le carte di credito.
A quei negozianti non ne volevano sapere di avere tra i piedi dei giovani dai mezzi molto modesti. Infastidivano la clientela. Si sono lamentati, e l’amministrazione immediatamente ha tolto le panchine.
Altro grande progetto, un viale di circa un chilometro nella zona ovest della città che si stava trasformando in area esclusiva di ricchi e privilegiati, e che si chiama via Arcbaleno.
Non è accaduto.
A Daher era consentito chiudere la via al traffico per rifare la pavimentazione, rallentare le auto, migliorare l’aspetto generale e far sì che il traffico passasse rumoroso sulla nuova superficie ruvida. Soprattutto, ricorda Daher, i marciapiedi erano adatti per camminare.
Ci sono stati dei problemi. Il British Council, che sta sulla via da anni, non voleva modificare in alcun modo il muro di recinzione davanti alla sua facciata, simile a quello di un carcere. Lo ha fatto una scuola. I negozi sono stati arretrati per consentire il passaggio dei pedoni e l’installazione delle panchine.
Alla gente piace, via Arcobaleno. Si mescolano qui persone che arrivano da tutte le zone di Amman. Qualcuno si è lamentato del troppo traffico pedonale, altri dei prezzi di prodotti e affitti cresciuti. Ma via Arcobaleno sembra rinata.
“É diverso, ma migliore” commenta Samar al-Sarayreh, 17 anni, seduta insieme alla sorella in n punto panoramico sulla città. “Quando vengo qui, ci sono meno macchine, spazio per sedersi e rilassarsi un po’ fuori casa. Uno spazio pubblico per tutti”.
Alla redazione dell’articolo ha contribuito anche Mona El-Naggar.
here English version
(da mall.lampnet.com)
Titolo originale: Sidewalks, and an Identity, Sprout in Jordan’s Capital – Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini
AMMAN, Giordania — Magari è un po’ esagerato definirlo un miracolo, ma l’amministrazione di questa antica città distesa su sette colli bruciati dal sole è riuscita in qualcosa che sinora pareva proprio impossibile. Ha costruito dei marciapiedi su cui è facile camminare.
Ma non è tutto, a Ammansi è riusciti anche fare qualcosa d’altro! Ci sono le panchine. Non solo nei parchi, ma proprio lì, su quei nuovi, levigati marciapiedi, che non si interrompono bruscamente e senza motivo. Marciapiedi e panchine, sono cose facili da liquidare come comodità aggiunte, orpelli urbani non indispensabili. Cosa che sarebbe particolarmente vera qui, se si considera quante altre cose sono necessarie: più lavoro, più scuole, più sanità.
Ma basta parlare con chi ha pensato questi marciapiedi, queste panchine, per iniziare a guardare gli ubiqui oggetti come potenti mezzi di intervento sociale, in grado di abbattere il muro che si erge fra ricchi e poveri, di contribuire allo sviluppo di una identità spaziale, locale, di un senso di appartenenza.
“Credo che abbiano reso la gente un po’ più felice” commenta Omar al-Deeb, 68 anni, cresciuto nella zona povera di Amman Est.
Deeb vende scarpe e sandali in un quartiere dove si affollano case, negozi, moschee e chiese, tutti aggrappati ai fianchi della collina, collegati da vie strette e sinuose. La sua bottega è una sedia di plastica all’angolo fra le vie Al Taj e Bader, proprio vicino a una delle ultime novità urbanistiche, un percorso pedonale con panchine e alberi. Una strada che un tempo era intasata di macchine, è diventata un posto in cui le famiglie di questa zona, che un tempo si sentivano dimenticate dall’amministrazione, possono sedersi da qualche parte.
“Piace a tutti” commenta Ahmed Sosa, 38 anni, proprietario di una bottega di frutta secca poco distante dalla nuova piazza inaugurata da pochi giorni.
Non si tratta di progetti estemporanei, una panchina qui e una là, ma di un grande piano per tutta Amman, con l’obiettivo di mettere un po’ d’ordine in una città le cui radici risalgono all’8500 a.C. e che nelle forme attuali ospita 2,5 milioni di abitanti, 3 milioni d’estate. Il piano generale di Amman ha anche uno slogan: “La città abitabile è organizzata, è ha un’anima”. Un modo sottile di descrivere cosa Amman non vuole diventare, e cioè Dubai.
“Rischiamo la dubaificazione” commenta Gerry Post, canadese presidente e fondatore dell’Amman Institute for Urban Development, gruppo di architetti, urbanisti, ricercatori in maggioranza giordani, costituito dal sindaco Omar Maaniper restaurare, anziché reinventare, Amman.
Quando Maani è entrato in carica quattro anni fa, c’erano progetti per costruire sedici torri di acciaio e vetro lungo l’arteria principale di Amman, che avrebbero impedito del tutto la vista delle casette bianche distese sulle colline. La più alta doveva essere di 80 piani. Così, non solo si sarebbero messe a dura prova tutte le infrastrutture, ma cosa che preoccupava di più gli urbanisti, si sarebbero costruite isole di privilegio per i molto ricchi.
Le trasformazioni sono così state redistribuite verso tre aree a bassa quota attorno alla città, tutelando sia lo skyline, che l’identità urbana, che i tanto sospirati investimenti.
“Non voglio che esistano due città in una” spiega Rami F. Daher, architetto e stratega di alcuni fra i progetti di trasformazione urbana più raffinati e ambiziosi.
Secondo Daher, le panchine contano, e i marciapiedi.
“Le cose più importanti sono l’articolazione sociale e la giustizia” commenta, parlando più da impegnato politico che da urbanista.
Il sistema politico della Giordania rende difficile cambiare le cose. Come in molti altri casi nel mondo arabo, sotto una sottile patina di democrazia esiste un potere molto accentrato, in questo caso la monarchia. L’urbanista vede una possibilità di conferire più potere ai cittadini nella trasformazione dello spazio che sta loro attorno, chiedendo per prima cosa come vogliono vivere. Si fanno delle indagini, e Post ha disposizione personale qualificato per organizzare assemblee.
“Quello che manca in città è il senso di cittadinanza” spiega Post. “Dobbiamo crearlo, insieme alla buona amministrazione”.
La Giordania da sempre cresce per flussi di immigrazione: circassi, armeni, libanesi, palestinesi. E poi i giordani dai piccoli villaggi che si spostano verso Amman, contribuendo a farne un centro economico, politico e culturale. Ma anche dopo tante generazioni, spiegano che è raro sentire qualcuno che si ritiene di Amman. Quindi è un obiettivo difficile, quello di costruire un’identità urbana cambiando un’abitudine così radicata.
Ma su questo fronte ci sono già state alcune piccole vittorie.
“Per una ragazza è considerato poco adeguato passeggiare senza meta per strada o sta seduta sul marciapiede” spiega Reem al-Hambali, 20 vent’anni, seduta al brillante sole d’inverno sulla prima piazza realizzata. “Tutti ti guardano e chiedono: cosa ci fa una ragazza lì? Invece stare qui è tutto O.K. Ci stiamo ed è normale”.
L’esperienza di via Wakalat dimostra però anche alcuni passi falsi della trasformazione. Quella strada era il regno esclusivo dello shopping ricco di chi abita nella zona ovest di Amman, e i negozianti non avevano alcun interesse a spazi più egualitari. Quello che interessava erano solo le carte di credito.
A quei negozianti non ne volevano sapere di avere tra i piedi dei giovani dai mezzi molto modesti. Infastidivano la clientela. Si sono lamentati, e l’amministrazione immediatamente ha tolto le panchine.
Altro grande progetto, un viale di circa un chilometro nella zona ovest della città che si stava trasformando in area esclusiva di ricchi e privilegiati, e che si chiama via Arcbaleno.
Non è accaduto.
A Daher era consentito chiudere la via al traffico per rifare la pavimentazione, rallentare le auto, migliorare l’aspetto generale e far sì che il traffico passasse rumoroso sulla nuova superficie ruvida. Soprattutto, ricorda Daher, i marciapiedi erano adatti per camminare.
Ci sono stati dei problemi. Il British Council, che sta sulla via da anni, non voleva modificare in alcun modo il muro di recinzione davanti alla sua facciata, simile a quello di un carcere. Lo ha fatto una scuola. I negozi sono stati arretrati per consentire il passaggio dei pedoni e l’installazione delle panchine.
Alla gente piace, via Arcobaleno. Si mescolano qui persone che arrivano da tutte le zone di Amman. Qualcuno si è lamentato del troppo traffico pedonale, altri dei prezzi di prodotti e affitti cresciuti. Ma via Arcobaleno sembra rinata.
“É diverso, ma migliore” commenta Samar al-Sarayreh, 17 anni, seduta insieme alla sorella in n punto panoramico sulla città. “Quando vengo qui, ci sono meno macchine, spazio per sedersi e rilassarsi un po’ fuori casa. Uno spazio pubblico per tutti”.
Alla redazione dell’articolo ha contribuito anche Mona El-Naggar.
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